[ DOVE NASCE IL TORTELLO CON LA CODA? ]
La storia narra che i tortelli con la coda (in dialetto piacentino turtei cu la cua) nacquero a Vigolzone durante una visita del poeta Francesco Petrarca al suo vecchio amico Bernardo Anguissola.
La storia narra che i tortelli con la coda (in dialetto piacentino turtei cu la cua) nacquero a Vigolzone durante una visita del poeta Francesco Petrarca al suo vecchio amico Bernardo Anguissola, signore di quel feudo; si erano conosciuti a Milano quando il poeta era ospite dei Visconti e l’Anguissola capitano comandante delle loro truppe.
Nell’estate 1351 Petrarca era di passaggio a Piacenza e il podestà Maffeo Mandello da Milano lo invitò a tenere una lectio magistralis nel salone di Palazzo Gotico l’11 giugno. Il poeta soggiornò per alcuni giorni in città e, trovandosi nella zona in cui i Visconti avevano mandato l’amico Bernardo, decise di recarsi a Vigolzone per fargli visita. Seppure si vedessero poco, i due avevano molta stima l’uno dell’altro: nel famoso “Codice Virgiliano” conservato e consultabile nella Biblioteca Ambrosiana, il Petrarca definisce Bernardo Anguissola addirittura “Dominus Bernardinus de Anguisolis de Placentia miles egregius et unus de raris et singularis amicis meis”.
Alla notizia dell’arrivo di Petrarca, al castello di Vigolzone ci fu gran fermento: bisognava accoglierlo con uno splendido banchetto. Le cuoche per stupirlo pensarono di preparare un gran piatto: saccottini di pasta sfoglia ripieni di ricotta, erbette e parmigiano. Il maestro di casa Amerigo da Cassano però ebbe da ridire sul loro aspetto un po’ deforme: guardando quella distesa di fagottini chiese alle cuoche di dar loro una forma più elegante e consona a celebrare l’arrivo del grande poeta. Le cuoche si giravano e rigiravano il fagottino tra le mani senza trovare una soluzione, finchè la più anziana di esse iniziò ad accavallare i lembi laterali di pasta verso il centro, alternandoli tra loro per formare una specie di treccia che si concludeva con due code. Quello che ne uscì soddisfò a pieno il Merigo: le cuoche impararono velocemente il procedimento, chiusero tutti i fagottini e, in un batter d’occhio, i turtei cu la cua vennero serviti a tavola.
Il Petrarca rimase estasiato dalla bontà dei tortelli con la coda: si narra che dopo l’assaggio, il poeta volesse trasformare uno dei suoi più celebri sonetti in “Erano i turtei d’oro a l’aura sparsi”… ma non ne avremo mai la conferma.

[ I TURTEI di Valente Faustini (1913) ]
Inizialmente il tortello con la coda veniva gustato senza condimento, più tardi risultò molto più gustoso prenderlo per una coda, immergerlo nel burro e portarlo alla bocca, gettando la coda che rimaneva tra le dita a cani e gatti. E’ della fine del Seicento la ricetta che vuole i tortelli piacentini così come li gustiamo oggi, conditi con burro crudo e salvia e cosparsi abbondantemente di grana.
È questa la storia della “treccina” che ha trasformato il deforme sacchettino in tortello (dal latino tortus o tortulus, che significa intrecciato). Forse sarà solo una tradizione orale, ma a noi piace credere che sia proprio questa la vera storia del turtel cu la cua, eccellenza gastronomica della nostra terra e nostro primo piatto più imitato.
“Al turtel (quand al capitta)/ l’è cme al libar ad la vitta”, scriveva il poeta piacentino Valente Faustini celebrando i tortelli piacentini con la coda in una poesia i cui versi proclamavano questo piatto degno di figurare “in sla tàvla anca dal re”.